giovedì 23 ottobre 2014

Zazen & Zen


Regole universali per la pratica di zazen (Maestro Dogen 1200-1253)

ZAZEN

Praticare lo zen significa fare zazen (meditazione in posizione seduta). Per lo zazen hai bisogno di una stanza tranquilla. Arresta il flusso della mente e smetti di concettualizzare, di pensare, di osservare. Non sedere con l'intento di diventare un Buddha, perchè diventare un Buddha non ha niente a che fare con cose come sedere o giacere distesi. Non pensare.
(DOGEN)
 

Appunti

Alla base dello zen non c'è alcun testo dottrinale e nessuna spiegazione razionale, lo zen fa andare in corto circuito il ragionamento e gli atti banali della nostra vita, rimanda all'esperienza immediata dell'essere: ZAZEN (meditazione seduta). Lo zen non è una filosofia né una religione, ma un'esperienza diretta e totale, un modo di essere, un'arte di vivere.

Nello zen non c'è nulla di misterioso di complicato. La sua pratica è molto semplice, zazen: soltanto sedersi, imparare a conoscere se stessi ed abbandonare il proprio piccolo ego, trovare un modo d'essere in armonia con la nostra natura profonda. Abbandonando l'egoismo individuale ed imparando a mettere a riposo la mente, si può accedere al flusso eterno dell'attività e dell'energia ed alla vera coscienza intuitiva.

E' la saggezza che accede alla saggezza dalla porta del silenzio e che va oltre il desiderio di profitto. Zazen è innanzitutto contatto con l'assoluto in noi stessi (la cosmicità è la natura intrinseca della mente), comprensione della nostra natura profonda. ZAZEN, seduti con le gambe incrociate, la schiena dritta la respirazione calma, il corpo e lo spirito unificati, senza spirito avido. Girando il proprio sguardo verso l'interno, ciascuno depone naturalmente i limiti dell'egoismo e fa direttamente l'esperienza del risveglio alla sua vera natura.

La base della filosofia zen è il silenzio, è il Ku (il silenzio totale) che è la condizione originaria della natura umana. Praticare al di là di ogni oggetto è lo zazen più elevato; soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa anche se il subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si trattiene. In questo modo la coscienza diventa illimitata infinita.

FUKANZAZENGI

Regole universali per la pratica di zazen

Maestro Dogen 1200-1253

La via è fondamentalmente perfetta, assoluta, include tutto, permea ogni cosa. Come potrebbe mai dipendere da una pratica o da una realizzazione? Il Dharma è libero, privo di ostacoli.

Perchè l'uomo deve compiere lo sforzo della concentrazione? In verità il grande corpo dell'uomo è al di là della polvere di questo mondo. Se è così perchè mai pensare che ci sia bisogno di un mezzo per toglierla? Esso non è mai lontano, non è mai separato da nessuno e da nessuna cosa. E' sempre là dove esattamente siamo. A che serve girare a vuoto di qua o di là se vogliamo praticare?

Se creiamo una separazione, per quanto piccola, sarà sufficiente a separarci dalla Via tanto quanto la terra dista dal cielo. Se discriminiamo continuamente tra scelte e rifiuti, per piccoli che siano, la mente si perderà nella confusione.

Quando qualcuno pensa si aver compreso e si illude d'aver raggiunto il Risveglio intravedendo la Grande Saggezza che penetra tutte le cose, costui si è solo di poco avvicinato alla Via. La mente di questa persona diventa più chiara e nasce in lei il desiderio di dare la scalata anche al cielo. Ma questa persona è pur sempre solo all'inizio dell'esplorazione, si trova ancora solo in una zona di confine. Ancora non basta per penetrare la conoscenza della Grande Via dell'assoluta emancipazione.

C'è forse bisogno di parlare della realizzazione del Buddha, che possedeva l'innata Coscienza Originaria? Ancora oggi noi riceviamo il benefico influsso dei suoi sei anni passati stando seduto con le gambe incrociate e la schiena dritta nella postura del loto, immerso nella più profonda e totale immobilità. E che dire, poi, di Bodhidharma! La trasmissione del Sigillo fino a noi conserva ancora il ricordo dei nove anni passati seduto davanti al muro.

Se è dunque stato così per i Santi del passato, possiamo oggi esimere noi stessi dal praticare la Via? Dovreste adesso definitivamente abbandonare una pratica basata sui ragionamenti, sulle deduzioni, sui pensieri discorsivi e sulla comprensione intellettuale per andare al di là del mero senso letterale delle parole.

Imparare piuttosto a compiere quell'intima inversione (conversione) nel profondo che vi porterà a rivolgere la vostra luce verso il vostro autentico sé, illuminando la vostra vera natura. Il corpo e la mente si estingueranno da soli e apparirà il vostro volto originario.

Se volete realizzare il Risveglio dovete praticarlo qui ed ora senza il minimo indugio. Per zazen trovate un luogo che sia tranquillo e silenzioso. Mangiate e bevete sobriamente. Lasciate da parte tutte le ordinarie occupazioni, liberatevi da relazioni e legami. Smettete di pensare: "questo va bene" o "questo va male". Non prendete posizione "pro" o "contro". Non seguite più i movimenti del pensiero cosciente liberandovi dal pensiero deduttivo.

Non considerate più le cose con il vostro pensiero individuale e lasciate da parte prospettive e punti di vista. Non cercate nemmeno di sforzarvi per diventare un Buddha. Zazen non ha niente a che vedere con una posizione seduta o allungata.

Mettete una stuoia dove di solito vi sedete e disponetevi sopra un cuscino rotondo. Sedetevi nella posizione del loto o del mezzo loto. Nella posizione del loto, portate prima il piede destro sulla coscia sinistra e poi il piede sinistro sulla coscia destra.

Nella posizione del mezzo loto accontentatevi di mettere il piede sinistro sulla coscia destra. Sciogliete nodi e cinture e indossate un abito comodo, sistemandovi convenientemente. Deponete quindi la mano destra, palmo in alto, sul tallone della gamba sinistra e le dita della mano sinistra sulle dita della mano destra. I pollici sono orizzontali e con le punte in leggero contatto.

Sedete con la schiena ben dritta nella giusta postura, che non deve pendere né a destra né a sinistra, né avanti né indietro. Accertatevi che le orecchie siano sullo stesso piano delle spalle e che il naso si trovi sulla verticale dell'ombellico. La punta della lingua tocca il palato alla radice dei denti superiori, la bocca è chiusa, senza tensioni, i denti si toccano nella posizione normale, naturale. Gli occhi devono rimanere ben aperti, respirare dolcemente attraverso le narici.

Una volta nella posizione corretta, respirate profondamente una volta, inspirando ed espirando. Fate oscillare il busto alcune volte a destra e a sinistra, ritornate dolcemente nella posizione verticale. Non muovetevi più. Pensate dalla profondità del "non pensiero" hishiryo, come? Andando al di là del pensiero e del non-pensiero: hishiryo questa è l'arte essenziale dello zazen.

Lo zazen di cui parlo non è una delle tante tecniche di meditazione, è il dharma di pace e gioia profonde. E' la pratica realizzazione del perfetto e immediato Risveglio. Zazen è la manifastazione della Realtà Ultima. Non potrà mai essere preda di trappole e insidie. Cogliendone il cuore segreto, sarete come un drago che entra in profondissime acque, o come una tigre che si addentra nella folta foresta di una montagna.

Dobbiamo sapere che nel momento stesso in cui si sta facendo zazen, il vero Dharma si sta manifestando, pertanto siamo liberi dalla distrazione e dall'indolenza fisica e mentale sin dall'inizio. Quando vi alzate fatelo con movimenti dolci, senza fretta eccessiva, ma anche senza troppi indugi. Non alzatevi di scatto, bruscamente.

Se guardiamo nel passato vediamo che l'illuminazione e la non-illuminazione, il morire in piedi o seduti, sono sempre dipesi solo dal vigore della pratica dello zazen. Inoltre l'illuminazione improvvisa scaturita a causa di un dito, del movimento di una banderuola, di un ago, di un martello o di uno scacciamosche, a causa di un pugno, di un colpo di bastone o di un grido, tutto ciò non si potrà mai cogliere profondamente solo facendo uso del pensiero dualista, né potrà essere meglio afferrato con dei poteri soprannaturali.

Queste cose sono ben al di là di ciò che gli esseri umani vedono o sentono. Non è forse questo principio anteriore alla coscienza e alla percezione? Anche essere più o meno intelligente non conta molto. Non c'è diversità tra uno sciocco ed uno avveduto. Quando concentriamo il nostro spirito su una sola mente, quest'azione è in sé praticare la Via.

La pratica realizzazione è pura per natura, per cui progredire non è altro che una questione di pratica quotidiana. Nell'insieme di questo e degli altri mondi, in India come in Cina, tutti rispettano il Sigillo del Buddha in sommo grado. Questa pratica in particolare prevede una dedizione completa alla postura seduta della meditazione senza oggetto e priva di uno scopo o una finalità qualsiasi, continuando a sedersi con impegno totale nell'assoluta immobilità.

Anche se si dice che vi siano tanti spiriti quanti uomini, tutti hanno sempre praticato la Via nello stesso modo: facendo zazen. Perché lasciare il posto che vi è riservato a casa vostra per girare a vuoto in terre straniere piene di polvere? Basta un passo falso per uscire dalla Via tracciata dritta davanti a voi.

Avete la fortuna di vivere in forma umana, non perdete quindi del tempo prezioso e date il vostro contributo all'opera essenziale della Via del Buddha. Chi mai può trarre piacere dalla fiamma scaturita dalla selce? Forma e sostanza sono come rugiada sull'erba. Il tempo è rapido come il fulmine; un istante, e non c'è più.

Vi prego, cari discepoli dello zen, abituati da molto tempo a palpare l'elefante nell'oscurità, non abbiate paura del drago vero. Consacrate tutta la vostra energia alla Via che indica l'assoluto. Rispettate l'uomo che ha realizzato la Via e che è andato al di là delle azioni ordinarie umane. Entrate in armonia con l'illuminazione del Buddha. Siate i successori della linea di trasmissione legittima del Satori e dei patriarchi. Comportatevi così e diverrete come loro. La vostra segreta stanza del tesoro si aprirà e potrete farne l'uso che vorrete.
  • Fonte web: http://web.tiscali.it/aspaco/zazen.htm 
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  •  Radicato nelle antiche pratiche meditative, lo Zazen si differenzia da altre forme di meditazione, in quanto il meditante stesso non utilizza alcun oggetto di meditazione o astratto concetto, per il suo concentrarsi. Lo scopo dello zazen è prima di tutto ‘fermare la mente’ – l’animale e disorganizzata mente di tutti i giorni del praticante – e quindi, attraverso la pratica, raggiungere uno stato di pura e desta attenzione, libera dal pensiero, così che la mente possa realizzare la propria Natura di Buddha. E, a differenza di altre forme di meditazione, lo Zazen non è meramente un mezzo per raggiungere uno scopo. Dogen Zenji disse: “Zazen è esso-stesso ‘Illuminazione’, un minuto di seduta, è un minuto di essere Buddha”.
    I tre obiettivi dello Zazen, sono:
    1. Sviluppo della capacità di concentrazione (Joriki)
    2. Satori-Risveglio (Kensho)
    3. Attualizzazione della Via Suprema nella nostra vita quotidiana (mujudo no taigen).
    Questi tre formano un insieme inscindibile, ma ai fini di una discussione saranno affrontati uno alla volta singolarmente.
    JORIKI
    Joriki, il primo di questi, è il potere o la forza che sorge quando la mente è stata unificata e portata a un acuta e profonda concentrazione in Zazen. Questo è ancor più che la capacità di concentrarsi, nel senso usuale del termine. E’ un potere dinamico che, una volta attivato, ci permette di agire subito, anche nelle situazioni più impreviste e inaspettate, senza aspettare di raccogliere le facoltà mentali, e in modo del tutto adeguato alle circostanze. Colui che ha sviluppato Joriki non è più schiavo delle sue passioni e non è più in balia del suo ambiente. Mantenendo sempre il comando di se stesso e delle circostanze della sua vita, egli è in grado di muoversi con piena libertà ed equanimità. Con Joriki, è reso anche possibile lo sviluppo di certi poteri supernormali, come pure uno stato in cui la mente diventa chiara e trasparente come acqua immobile. (Vedi anche: siddhi).Ora, benché i poteri di Joriki possano essere ampliati all’infinito tramite una pratica regolare, se però si trascura lo Zazen essi si ritirano e spariscono. E pur se è vero che molti poteri straordinari derivano da Joriki, tuttavia tramite esso da solo noi non possiamo tagliare le radici della nostra visione illusoria del mondo. La sola forza della concentrazione non è sufficiente per i più elevati livelli di Zen e deve essere tenuto in considerazione un percorso non dissimile da shikantaza. E, contemporaneamente, ci deve essere il Risveglio-Satori. In un documento poco conosciuto, tramandato da Shih-t’ou Hsi-ch’ien (Sekito Kisen, in Giapponese), seguace del Sesto Patriarca Hui-neng e fondatore di una delle prime sètte Zen, appare la seguente frase: “Nella nostra setta, è fondamentale la realizzazione della Natura di Buddha, e non la mera devozione o la forza di concentrazione”. Il Buddismo insegna che quando un praticante raggiunge un certo grado di realizzazione, si sviluppa il potere spirituale. Si dice che uno che sia al livello di un Arhat abbia dei poteri sovrannaturali. Anche così, resta inteso che è attraverso l’illuminazione che si manifestano poteri soprannaturali, piuttosto che questi poteri soprannaturali rafforzino l’Illuminazione. Inoltre, è anche riconosciuto che i poteri soprannaturali non sono esclusivamente ottenibili proprio e SOLO dai Buddisti. E’ possibile sviluppare una sorta di “poteri ultra-normali” per chiunque abbia una profonda coltivazione religiosa e spirituale. (Fonte)
    KENSHO
    Il secondo di questi obiettivi è Kensho, ‘Vedere-nella-propria-vera-natura’ e allo stesso tempo, Vedere nella Natura Ultima dell’Universo e “tutte le diecimila cose” contenute in esso. E’ la realizzazione improvvisa del fatto che “Io sono completo e perfetto sin dall’inizio. Che meraviglia, che miracolo!” Se è un vero Kensho, la sua sostanza sarà sempre la stessa per chiunque la sperimenti, sia egli Buddha Shakyamuni, il Buddha Amida, o una persona qualunque. Ma questo non significa che tutti possiamo sperimentare Kensho allo stesso livello, perché nella chiarezza, profondità e completezza di quel tipo di esperienza ci sono grandi differenze. Come esempio, immaginate una persona cieca dalla nascita che poco a poco comincia a recuperare la vista. All’inizio, essa può vedere in maniera molto vaga e oscura, e solo gli oggetti a lui vicini. Poi, allorché la vista migliora, essa è in grado di distinguere le cose ad un metro di distanza, quindi gli oggetti a una decina di metri, poi a un centinaio di metri, fino a quando alla fine sarà in grado di riconoscere ogni cosa fino a mille metri. In ciascuna di queste fasi, il mondo fenomenico che egli vede è lo stesso, ma le differenze in chiarezza e in precisione delle sue visioni di quel mondo sono enormi, come quelle che ci sono tra la neve e il carbone. Così, le stesse differenze di chiarezza e di profondità ci sono nelle nostre esperienze di Kensho.
    MUJODO NO TAIGEN
    L’ultimo dei tre obiettivi è mujodo no taigen, l’Attualizzazione della Via Suprema con tutto il nostro essere e in tutte le nostre attività quotidiane. A questo punto, noi non distinguiamo il fine dai mezzi. Quando ti siedi con fervore e senza-ego in conformità con le istruzioni di un insegnante competente – con la mente pienamente cosciente, però così libera dal pensiero come un puro foglio di carta bianca che è privo di qualunque macchia – c’è un dispiegarsi della vostra ‘natura di Buddha’ intrinsecamente pura, sia che abbiate o meno avuto un Satori. Ma ciò che qui dev’essere enfatizzato è che solo con il vero risveglio tu potrai direttamente comprendere la verità della tua natura di Buddha e percepire che il più puro tipo di Zen, cioè Saijojo, non è affatto diverso da quello praticato da tutti i Buddha.
    La pratica del Buddista Zen dovrebbe abbracciare tutti e tre questi obiettivi, perché interconnessi. Per esempio, vi è una essenziale connessione tra Joriki e Kensho. Kensho, infatti, è “saggezza associata naturalmente a Joriki”, il quale è il potere derivante dalla concentrazione. Joriki è collegato pure in un altro modo con Kensho. Molte persone non potranno mai essere in grado di raggiungere Kensho se non hanno prima coltivato una certa quantità di Joriki, perché altrimenti potrebbero sentirsi troppo agitate, troppo nervose e inquiete per proseguire il loro Zazen. Inoltre, a meno che non sia fortificata da Joriki, una singola esperienza di Kensho non avrà alcun apprezzabile effetto sulla nostra vita, e si esaurirà in un mero ricordo. Infatti, anche se tramite l’esperienza di Kensho con l’occhio della mente voi avrete appreso l’unità fondamentale del cosmo, senza Joriki voi sarete incapaci di agire con tutta la forza del vostro essere su ciò che la vostra visione interiore vi ha rivelato. Similmente, vi è una connessione tra Kensho e il terzo obiettivo dello Zazen, mujodo no taigen. E quando Kensho si manifesterà in tutte le vostre azioni, allora c’è mujodo-no-taigen. Con la perfetta Illuminazione, Anuttarasamyak-Sambodhi, ci accorgiamo che la nostra concezione duale e antitetica del mondo è falsa, e da questa realizzazione si rivela il mondo di unicità, di vera armonia e di pace.
    La setta Rinzai tende a rendere il Satori-risveglio lo scopo finale della zen-seduta e sorvola su Joriki e su Mujodo-no-taigen. In tal modo, la necessità di una pratica continua dopo l’illuminazione è ridotta al minimo, e lo studio dei koan, dal momento che non è supportato da Zazen e poco legato alla vita quotidiana, diventa essenzialmente un gioco intellettuale, anzichè un mezzo attraverso cui amplificare e rafforzare l’Illuminazione. D’altra parte, mentre il tipo di pratica sostenuta oggi negli ambienti ufficiali della setta Soto enfatizza il mujodo no taigen, in realtà, essa non è altro che poco più di un aumento di Joriki, che, come già detto in precedenza, “si perde o si indebolisce” e in ultima analisi scompare a meno che non si svolga regolarmente zazen. Oggigiorno, la tesi della setta Soto è che Kensho sia inutile, e che uno avrebbe più bisogno di maliziosità nella sua attività quotidiana con la Mente di Buddha che è speciosa, perché senza Kensho non si può mai sapere che cosa sia questa mente-di-Buddha. In questi ultimi tempi, questi squilibri di entrambe le sette hanno, purtroppo, compromesso la qualità dell’insegnamento Zen.
    Zazen non deve essere confuso con la meditazione. La meditazione implica immettere qualcosa nella mente, un’immagine o una parola sacra che viene visualizzata, o un concetto su cui si deve pensare e rifletterci su, o entrambi. In alcuni tipi di meditazione, il meditante immagina, contempla o analizza alcune forme elementari, tenendole nella sua mente con l’esclusione di ogni altra cosa. Oppure egli può contemplare in uno stato di adorazione un’immagine di Buddha o di un Bodhisattva, sperando di suscitare in sé paralleli stati di mente. Egli può riflettere su delle qualità astratte come la gentilezza amorevole e la compassione. Nei sistemi meditativi del Buddismo Tantrico, i mandala contengono varie sillabe-seme dell’alfabeto Sanscrito – come, per esempio Om – che sono visualizzate e fermate nel modo prescritto. Impiegati anche per scopi di meditazione, i mandala sono costituiti di speciali forme di Buddha, Bodhisattva e altre figure. L’unicità dello Zazen sta nel fatto che la mente è liberata dalla schiavitù di tutte le forme-pensiero, visioni, oggetti, e fantasie, sia pur sacri o elevati, e portati ad uno stato di assoluta vacuità, soltanto dal quale si potrà un giorno percepire la propria vera natura, o natura dell’universo. Questi esercizi iniziali, come il contare o seguire il respiro, non possono ovviamente essere chiamati meditazione, in quanto non comportano visualizzazione di un oggetto o riflessione su un’idea. Per le stesse ragioni, un Koan Zazen non può essere chiamato meditazione. Sia che uno stia sforzandosi di ottenere l’unità con il suo Koan o, per esempio, chiedendosi intensamente “Che cosa è Mu?”, egli non sta meditando nel senso tecnico del termine. Lo Zazen che porta all’auto-realizzazione del Sé non è né una fantasia né un’inerzia inattiva, ma una intensa lotta interiore per ottenere il controllo della mente e quindi saperla usare, come un silenzioso missile, per penetrare la barriera dei cinque sensi e l’intelletto discorsivo (che è il sesto senso). Esso richiede energia, determinazione e coraggio. Yasutani Hakuun Roshi lo chiama “una battaglia tra le forze opposte dell’illusione e il Bodhi (Risveglio)”. Questo stato mentale è stato vividamente descritto con queste parole, che si dice siano state pronunciate da Shakyamuni Buddha seduto sotto l’albero del Bodhi mentre faceva il suo sforzo supremo, e citate spesso nel zendo durante le sesshin: “Anche se mi restassero solo la pelle, i tendini, e le ossa, e il mio sangue e la carne si disperdessero, io mai potrei muovermi da questa seduta finché non avrò raggiunto la piena Illuminazione”. Da un lato, la spinta verso l’illuminazione è alimentata da una schiavitù interiore sentita con una forte sofferenza – una sorta di frustrazione verso la vita, paura della morte, o per entrambi – e, dall’altro, dalla convinzione che attraverso il Risveglio si possa ottenere la liberazione. Ma è nello Zazen che la forza e il vigore del corpo-mente sono allargate e mobilitate per la svolta in questo nuovo mondo di libertà. Le energie che prima venivano sprecate in nevrotiche corse e azioni compulsive senza scopo ora sono conservate e incanalate in una unità tramite la corretta seduta Zen, e nella misura in cui la mente raggiunge acutezza attraverso lo Zazen non disperde più la sua forza-energia nell’incontrollata proliferazione di pensieri oziosi. L’intero sistema nervoso è calmo e rilassato, son eliminate le tensioni interne, e rafforzato il tono di tutti gli organi. Inoltre, la ricerca che interessa un elettrocardiografo ed altri strumenti su soggetti che praticano Zazen da uno o due anni, ha dimostrato che lo Zazen porta un rilassamento della tensione psicofisica ed una maggiore stabilità dell’insieme corpo-mente con un abbassamento della frequenza cardiaca, del polso, della respirazione e del metabolismo. In breve, lo Zazen riallineando le energie fisiche, mentali e psichiche attraverso una corretta seduta, respirazione, e concentrazione, ristabilisce anche un nuovo equilibrio del corpo e della mente.
    Ed ora una storia:
    Ma-tsu stava facendo il suo Zazen quotidiano nella sua capanna, sul monte Nan-Yueh. Un giorno, il suo maestro Huai-Jang (Nanyue Huairang, Nangaku Ejo, 677-744), osservandolo pensò: “Diventerà un grande monaco”, e chiese: “Reverendo, cosa stai cercando di raggiungere stando così seduto?”
    Ma-tsu rispose: “Sto cercando di diventare un Buddha”. Allora Huai-Jang prese un pezzo di tegola e cominciò a strofinarla su una roccia di fronte a lui.
    “Che cosa stai facendo, maestro?” chiese Ma-tsu.
    “La sto lucidando per farne uno specchio”, disse Huai-Jang.
    “Come si può lucidare una tegola per farne uno specchio?”
    “E come, lo stare seduti in Zazen, potrebbe fare un Buddha?”
    Ma-tsu chiese: “Cosa devo fare, allora?”
    Huai-Jang rispose: “Se tu fossi alla guida di un carro, e questo non si muove, tu frusteresti il carro o frusteresti il bue?” Ma-tsu non rispose.
    Huai-Jang continuò: “Ti stai allenando in Zazen? Stai cercando di diventare un Buddha seduto? Se ti stai allenando in Zazen, lascia che ti dica che la vera sostanza dello Zazen non è né lo stare seduti, e né sdraiati. Se ti stai allenando a diventare un Buddha seduto, lascia che ti dica che il Buddha non ha una forma [come, ad es. la seduta]. Il Dharma, che non ha fissa dimora, non ammette distinzioni. Se uno cerca di diventare un Buddha seduto, questo è come uccidere il Buddha. Se ci si aggrappa alla forma della seduta, non si potrà raggiungere la verità essenziale”. Per cui, dovrebbero essere considerati i seguenti punti: “In nessun modo… io sto suggerendo che le pratiche non debbano essere fatte, solo che dietro di esse non c’è un praticante che sia il colui che agisce. Questo è vero per ogni attività. … Proprio perché non c’è nessun praticante (e mai c’è stato), non significa che non avrà luogo la pratica. Se è evidente che una particolare pratica spirituale abbia a verificarsi, allora ci sarà…”.

    tratto da ‘Shobogenzo’ di Dogen
    Fonte: www.centronirvana.it
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  • Lo Zen è la via che ci ricollega all’Universo
    (Kodo Sawaki Roshi)
    La luce di una candela rischiara appena una stanza disadorna. Di fronte al muro siedono, perfettamente allineati, immobili personaggi vestiti con abiti neri, ampi, panneggianti. Il sobrio e vigoroso silenzio viene interrotto soltanto da una profonda voce che, ogni tanto, con severa compassione richiama alla bellezza del momento presente.
    Cosa stanno facendo queste persone? Niente – potrebbe essere la risposta – sono semplicemente sedute. Esse in verità stanno meditando, stanno praticando zazen.
    Ora, il termine Zen, che sta a indicare una delle forme che il buddhismo ha preso in Giappone, vuol dire meditazione. Esso deriva dal termine cinese chan, che a sua volta deriva dalla parola sanscrita dhyana, usata in India per indicare appunto la pratica della meditazione.
    A questo punto è bene ricordare una cosa: in Occidente con meditazione, o meditatio, di solito si intende lo scegliere un passo del Vangelo sul quale riflettere, pensare, per poter giungere a una maggiore e più profonda comprensione del messaggio del Cristo. All’alba dell’incontro con le dottrine orientali, gli studiosi occidentali hanno definito “meditazione” tutta quella serie di pratiche ascetico-concentrative caratteristiche delle filosofie orientali. Ma, in ambito buddhista, il termine sanscrito che indica tali pratiche in generale è bhavana: esso deriva dalla radice verbale bhu, che vuol dire “essere“. Pertanto bhavana può essere tradotto come esserci, esserci di più, ora.
    Dunque la pratica contemplativa buddhista non deve rimandare a una cogitazione continua, bensì a un essere totalmente calati nel momento presente. Si tratta in altre parole di essere completamente consapevoli di se stessi, del proprio corpo, dei propri pensieri, e di ciò che ci circonda.
    Buddha, l’illuminato, è colui il quale è completamente sveglio, assolutamente calato nella irripetibile bellezza del momento presente, ed è proprio alla luce di tale fatto che nella tradizione Zen si arriva ad affermare che zazen è satori, e cioè che la pratica della meditazione è l’illuminazione: in altre parole se essere illuminati vuol dire essere completamente calati nel momento presente, e se meditare vuol dire esserci totalmente, allora i due termini coincidono.
    La tradizione Zen si chiama in tal modo proprio perché avendo compreso l’importanza della pratica seduta, su essa pone un forte accento. Ma come si fa a fare zazen, o meglio la meditazione (zen) seduta (za)?
    Innanzitutto occorre scegliere un posto dove sedersi che sia tranquillo, non troppo caldo nè troppo freddo, e poi indossare un abito ampio, comodo e possibilmente scuro. Scelto un cuscino consistente, occorre sedersi su di esso a gambe incrociate, per quaranta minuti circa, anche se all’inizio è possibile sedersi per un periodo minore.
    La posizione da assumere è quella del loto completo: il piede destro che poggia sulla coscia sinistra e il piede sinistro che poggia sulla coscia destra. Tale posizione ha una valenza sia simbolica che pratica. Da un lato infatti simbolizza il loto, il fiore che, pur affondando le sue radici nella melma, si leva alto verso il cielo con i suoi petali arancioni, colore del sole nascente e della rinascita spirituale. Dall’altro invece la posizione del loto è estremamente pratica perché salda, stabile. Bisogna aver cura di sedersi in pizzo al cuscino e di far toccare bene a terra le ginocchia. In tal modo si viene a formare un tripode che dona stabilità e vigore a tutta la postura e permette alla schiena di stare naturalmente dritta, senza grossi sforzi. E’ possibile sedersi anche nella posizione del mezzo loto, con il piede destro sulla coscia sinistra o viceversa, cercando comunque di ricreare la stabilita di detto tripode.
    La schiena deve essere mantenuta bene dritta, le mani toccano con il taglio interno l’addome e la sinistra poggia sulla destra. La misura della corretta sovrapposizione delle mani viene data dal dito medio sinistro, la cui falange centrale deve coincidere con la falange centrale del medio della mano destra. La punta dei pollici si sfiora a formare un perfetto ovale, che va mantenuto per tutta la durata della seduta. Questa posizione delle mani viene chiamata in giapponese hokkaijoin, o sigillo dell’Oceano del Dharma, ed è simbolo e indice della concentrazione: infatti se ci si assopisce i pollici si allentano e formano la cosiddetta “valle”, se invece ci si accanisce in un turbinio di pensieri i pollici premono forte l’uno contro l’altro andando a formare un “monte”. Inoltre è anche molto importante il movimento che si compie per assumere tale posizione. Le due mani partono da lati opposti e convergono verso il centro. Allo stesso modo la mente che di solito è dissipata, distratta in pensieri che la trascinano avanti e indietro, dovrebbe, all’inizio della seduta, ricentrarsi, focalizzarsi.
    Le spalle devono essere rilassate e i gomiti distanziati dal corpo. Gli occhi, a differenza di altre scuole meditative, vengono tenuti aperti, e questo per il semplice motivo che il mantenere gli occhi chiusi, anche se all’inizio della seduta può risultare molto calmante, difatto poi induce sonnolenza. Di solito si chiudono gli occhi quando si vuole dormire, mentre quando si è svegli gli occhi sono aperti. Ora, se questa deve esser la pratica del Risveglio, è bene che il corpo assuma l’atteggiamento di una persona sveglia.
    Il mento deve essere rientrato e la nuca tesa: l’immagine che la tradizione Zen offre per aiutare il praticante ad assumere una corretta postura è quella di una colonna che a un’estremità spinge la terra in basso, e all’altra spinge in alto il cielo. In tal modo chi pratica diventa una sorta di asse cosmico che unisce le sfere celesti alla terra: il palo attraverso il quale è possibile raggiungere il cielo, o meglio l’Assoluto.
    Ma cosa fare durante zazen? Si tratta fondamentalmente di focalizzare la propria consapevolezza su due cose: la postura e il respiro, le due ali su cui vola la meditazione.
    Innanzitutto bisogna tornare costantemente alla posizione. Occorre sentire il proprio corpo mentre mantiene una corretta postura: non bisogna quindi piegare la schiena, afflosciarsi, allentare la posizione delle mani, perdere il contatto delle ginocchia, reclinare il capo o chiudere gli occhi.
    Una corretta postura deve poi essere vivificata da una corretta attenzione al respiro. Si tratta in altre parole di osservare il proprio respiro senza per questo controllarlo o modificarlo in alcun modo. Se è superficiale lo si registra come tale, e quando è o affannoso, o calmo o profondo si fa lo stesso. Con il tempo e la pratica, il respiro diventerà quieto e impercettibile: l’espirazione si farà sottile e prolungata e l’inspirazione breve e decisa.
    La tradizione paragona la mente discorsiva a un cane affamato: come il cane ha bisogno di rosicchiare continuamente qualcosa, così la mente discorsiva ha bisogno di “ruminare” costantemente pensieri. Si tratta allora di dare alla mente affamata un osso da rosicchiare, un qualcosa che calmi il suo desiderio di essere sempre impegnata in un processo cogitativo ma che allo stesso tempo la mantenga legata al momento presente.L’attenzione alla postura e alla respirazione è la risposta, è l’osso da gettare alla mente discorsiva, è l’oggetto che tiene la mente occupata e che altresì non la distoglie dal presente. Infatti sia la postura che il respiro sono elementi presenti ora, da percepire nell’immediatezza del presente.
    Normalmente la mente discorsiva è persa in continui confronti, progetti futuri o ricordi passati: una rapida occhiata al momento presente e subito parte il “filminteriore, una carrellata di pensieri che distolgono dalla realtà. E parlare di realtà non è esagerato poiché, a pensarci bene, il passato è passato, il futuro deve ancora essere: solo la dimensione del presente effettivamente è, esiste, è reale. Ora, la mente discorsiva persa nei suoi pensieri fa vivere l’essere umano come un fantasma, alienato dal momento presente nel quale la vita si attua.
    La pratica Zen, con il suo vigoroso richiamo alla presenza educa alla capacità di esserci, di esserci completamente, e permette al praticante di scoprire una dimensione sconosciuta anche se già presente di fronte agli occhi: la realtà vibrante del momento presente, nel quale è possibile scorgere il proprio originale, natura misteriosamente sottile della vita che ci unisce in maniera inscindibile a tutti gli altri esseri.
    Il semplice fatto di sedersi con tutto se stessi (o shikantaza in giapponese) vuol dire accettare e dunque comprendere la propria reale natura. La reale natura, o natura originale del è comune a tutti gli esseri. Accettare e comprendere tale natura con la sola mente è impossibile, occorre accettarla, sentirla, assimilarla anche con il corpo: ecco perché si dà tanta importanza alla pratica dello zazen dove tutto il corpo e tutta la mente sono concentrati sulla postura.
    Quando si è seduti, semplicemente seduti, gustando il silenzio e l’immobilità dello zazen, è possibile osservarsi, conoscersi, accettarsi e riconoscersi connessi e interconnessi con il resto del Cosmo. E’ per questo che si dice che lo zazen è la porta che dà accesso alla reale pace e armonia in cui tutte le esistenze del cosmo vivono da sempre: il nirvana.
    Fonte: http://www.romazen.it
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    http://www.pomodorozen.com/zen/come-fare-zazen-roland-yuno-rech/


    Durante zazen concentratevi bene sulla postura del vostro corpo. Ben seduti al centro dello zafu, lasciate che il bacino si inclini bene in avanti, in modo che le ginocchia premano bene al suolo, senza fare sforzi muscolari. Rilassate bene il ventre e lasciate che il peso del corpo prema bene sullo zafu. Se siete obbligati a tendere le reni per fare in modo che le ginocchia tocchino il suolo, sarà forse meglio che alziate lo zafu. A partire dalla vita si estende bene la colonna vertebrale rilassando le tensioni delle schiena. Si estende la nuca come se volessimo spingere il cielo con la sommità del capo. Simultaneamente il mento è rientrato e le spalle rilassate. Allora possiamo sentire una forte energia nella nuca, che stimola la vigilanza. Lo sguardo è posato davanti alle nostre ginocchia sul suolo.
    E’ inutile chiudere gli occhi per concentrarsi, perché se non vi attaccate agli oggetti della vista davanti a voi, non disturberanno la vostra concentrazione. Allora non c’è bisogno di chiudere gli occhi per non vederli. Al contrario, se chiudete gli occhi, rischiate o di addormentarvi o di cominciare a sognare.
    Il viso è disteso e la lingua contro il palato. Se vi concentrate bene sul contatto della lingua contro il palato, questo vi aiuterà a calmare il discorso interiore. La mano sinistra è nella mano destra. I pollici orizzontali, il bordo delle mani in contatto con il basso ventre. In questa posizione le mani non fabbricano nulla e nemmeno afferrano nulla.
    Se si porta l’attenzione sulle mani, per esempio sul contatto dei pollici, questo aiuta a realizzare uno spirito che non fabbrica nulla, e soprattutto uno spirito che non si sofferma su nulla. In altre parole, a ritrovare uno spirito fluido che non si identifica con i suoi pensieri, e soprattutto che smette di discriminare.
    In zazen lo spirito abbandona ogni giudizio. Non ci preoccupiamo se i pensieri sono buoni o cattivi, veri o falsi. Si osserva l’impermanenza, la vacuità e si lascia andare. Certamente, per concentrarsi in questo modo, c’è bisogno di pensarci; ma una volta che si è entrati in questa concentrazione, bisogna dimenticare l’oggetto di questa concentrazione, cioè dimenticare il corpo e non creare più separazione tra noi stessi, lo spirito che vuole concentrarsi e il corpo come oggetto di concentrazione.
    Il modo in cui abbandonare l’attaccamento al corpo è di essere semplicemente attenti alla respirazione. Si inspira ed espira con calma attraverso il naso. Eventualmente, si cerca di andare fino in fondo all’espirazione; e soprattutto, seguiamo la respirazione, siamo attenti alla respirazione. Questo ci riporta continuamente al qui ed ora della pratica, e ogni volta che facciamo ritorno alla respirazione, lasciamo la presa naturalmente da tutti i nostri oggetti di pensiero e attaccamento. Così, la respirazione è il mezzo migliore per restare perfettamente presenti qui e ora per tutto il tempo della pratica, non solo durante zazen: durante la cerimonia, durante la passeggiata, durante il pasto, il samu, il riposo.
    Essere ‘uno’ con la respirazione vuol dire essere ‘uno’ con la vita di qui e ora. E così, divenire intimi con lo spirito che si manifesta qui e ora. E’ il senso della sesshin: divenire intimi con lo spirito che non dimora su nulla e che è sempre perfettamente presente.
    Tratto dal sito http://www.sanrin.it